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L’esigenza di fronteggiare bisogni ed interessi a lungo termine ha portato, specie a partire dalla seconda metà del XX secolo, gli attori economici a stipulare contratti, che, protraendosi nel tempo, implicano una lunga fase esecutiva. Lo sviluppo del rapporto su un arco temporale prolungato comporta, ovviamente, il rischio che, durante la sua esecuzione, possano intervenire eventi che modificano l’originario equilibrio contrattuale stabilito dalle parti: le cc.dd. “sopravvenienze”.rnSi tratta di fatti che, “intervenendo dopo la conclusione del contratto e prima della sua completa attuazione, mutano il contesto in cui il contratto si attua”.rnIl problema giuridico che ne deriva è ormai noto, quanto meno nelle sue linee generali: si tratta di capire chi, fra i due contraenti, debba sopportare il rischio connesso al verificarsi di circostanze sopravvenute durante l’esecuzione di contratti a prestazioni corrispettive.rnIl legislatore del '42 non ha, per parte sua, ignorato il fenomeno, disciplinando due figure “generali” di sopravvenienze non ha però disciplinato espressamente altre ipotesi di sopravvenienze che non rientrano nelle due tipologie “generali” (cc.dd. “sopravvenienze atipiche”), inducendo di fatto l’interprete ad individuare nell’autoregolamentazione delle parti e nei principi generali in materia di esecuzione del rapporto contrattuale la disciplina degli effetti prodotti da siffatti, ulteriori, eventi sopravvenuti.rnIl tema dei rimedi alle sopravvenienze contrattua