Questo sito utilizza i cookie per migliorare l'esperienza. Leggi di più
Nel suo saggio Kant e l'ornitorinco, U. Eco pone la questione dirimente di ogni possibile semiosi: il problema dei limiti dell'interpretazione. Vale a dire: se prima di riferirci alle sequenze di interpretanti e pervenire a una chiara catena dei meccanismi della conoscenza, non si debba partire da quella istanza tutta umana del perché qualcosa ci spinge a parlare, piuttosto che limitarsi ad interpretare i dati come già presenti nel nostro universo, come se da sempre la specie Homo avesse di questo mondo l'evidenza della verità, fondata sulla parola che l'ha edificata. La domanda è stata posta da Leibniz: "Perché c'è qualcosa piuttosto che niente?"" Eco, nell'onestà che lo ha sempre contraddistinto, affronta apertamente la questione, non negando il grande imbarazzo che alcune tesi pongono quando ci si avventura nel mare magnum del pensiero occidentale. Di fatto, ab initio, non esiste nessuna mente, né costrutto da cui partire per erigere conoscenza. Ecco di cosa si occupa questo libro.