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Il teatro musicale è lo specchio del mondo a cui si rivolge, ma anche presagio del suo futuro. Nel Novecento, venute meno le ombre possenti di Verdi e Wagner, anche l'opera si disgrega, lasciandosi alle spalle l'unitarietà e la compostezza del melodramma ottocentesco, i suoi solidi personaggi e le sue rappresentazioni organiche, per indagare un presente sempre più frammentario, percorso dalle inquietudini, dall'aggressività e dalle sofferenze del soggetto moderno. Puccini, Berg, Britteti, Strauss e Janácek sono alcuni dei grandi nomi che intarsiano la storia dell'opera novecentesca, riscrivendone canoni e temi, orizzonti e significati, con uno sguardo di volta in volta critico o celebrativo, intimista o universale sulle vicende di un secolo attraversato da profondi tumulti e lacerazioni. Così la "Lulu"" di Berg si fa accusa dell'alienazione generata dalla morale sessuale e dal culto della famiglia, e dà voce, con linguaggio visionario, alle sue vittime per eccellenza, le donne; il ""Billy Budd"" di Britten sviscera le ambiguità del male, la perdita dell'innocenza e l'emarginazione del diverso che marcheranno impietosamente la storia del secolo; il realismo poetico della ""Bohème"" di Puccini mette in scena il vagare angosciato e trasognato dell'essere umano, la fatica di affrontare la quotidianità e le schegge psicotiche che essa produce. Nel volume conclusivo della sua monumentale storia dell'opera, con la passione e la cura del particolare che i suoi lettori ben conoscono,