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Saggio eretico di teoria della traduzione, avventura donchisciottesca nelle infinite possibilità del linguaggio, atto d’amore per la letteratura di lingua inglese, James Joyce in primis: Oltre abita il silenzio è il distillato alchemico di decenni passati a strettissimo contatto – amicale, amoroso, doveroso – con l’opera del dublinese per eccellenza, che Enrico Terrinoni conosce come pochissimi altri in Italia. Tradurre Joyce significa spingersi dove nessun traduttore si è mai spinto, alle estreme propaggini della parola, dove la lingua corteggia un silenzio che non è afasia, bensì infinita potenza creativa. D’altronde, in inglese, fra word e world non c’è che una lettera di differenza, una lettera per nulla morta; e lì si gioca la partita.rnrnDa questa esperienza nasce una considerazione che, pur nella sua apparente semplicità, è rivoluzionaria: siamo esseri traducenti, tutto in noi è traduzione. Traduciamo il mondo nella nostra mente e noi stessi nel mondo, traduciamo sentimenti in idee e idee in parole, traduciamo persino, a volte, prigionieri da un carcere all’altro. E se il linguaggio è una gabbia che ci arresta, solo traducendo possiamo forzarne le sbarre ed essere liberi. Ne fuoriesce un’idea nuova della letteratura, la quale corrisponde non a quanto avviene sulla pagina, nel rincorrersi delle parole di inchiostro, bensì all’energia creatrice che si libra, e si libera, dalla pagina per balzare al di là, oltre, dove abita il silenzio.rnrnPer inseguire questa idea di tra