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«La memoria fluttua, reiterando un ritmo che le è proprio, di cui lascia intuire solamente un rassicurante sciabordio. In questo incessante movimento, essa trascina con sé visioni che hanno una natura profetica, vestigia di passate e future speranze, dettagli inevitabilmente modificati, smussati nelle caratteristiche essenziali eppure intatti nella propria preziosa sostanza. Nel grande teatro dello spirito, le figure di Emanuela de Franceschi si avvicendano con grazia, calcando con ritmo ininterrotto la scena, echi incessanti di un non luogo a cui ogni individuo è appartenuto, appartiene, apparterrà. Reiterazioni capaci di mantenere intatto il primo suono nella sua più intrinseca natura, i soggetti dell'artista sanno arricchirsi lungo il proprio percorso di rifrazione, trattenendo, al pari di una raffinata ragnatela, innumerevoli riflessi dell'anima. Mille sfaccettature della medesima realtà sfumano in una ricomposizione di immagini di senso, che sanno farsi portatrici di un tempo eterno. Fedeli alla propria funzione originaria di simulacro del divino, le maschere ricomposte della de Franceschi divengono varchi metafisici affacciati su un altrove, confini innalzati per impedire che si perda la lezione del passato, presenze riproposte come pietre miliari verso un ineffabile quanto seducente ignoto. Immobili, silenziose, interrogative, esse sembrano mantenere saldo un fil rouge che inizia dal paleolitico, nel momento in cui nelle grotte di Lascaux un uomo sconosciuto tracciò il