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Quando si nasce nella "prigione chiamata Albania"", esistono solo due modi di orientare lo sguardo. C'è quello del pittore Petraq, che cammina chino sull'asfalto e sembra rimpicciolire ogni giorno di più: è lo sguardo basso della colpa, di chi si vergogna della propria vecchiaia, ma anche della propria bellezza, o di un marito che ha troppa voglia di fare l'amore. E poi ci sono gli occhi puntati dritti verso formidabili orizzonti: è lo sguardo di Gazi che attraversa l'Adriatico e sogna di portare la sua musica in Italia, in Francia, negli Stati Uniti. Sono gli occhi di Teuta mentre stropiccia il foglietto su cui è segnato l'indirizzo che dovrebbe accoglierla a Roma, quelli di Sabrina inghiottita dal mare, e di Lumturi che si nutre delle pagine di Proust e Stendhal. Complice un tempo che sembra eterno, l'Albania smette di essere prigione per diventare limbo, uno stato transitorio nel quale si sopravvive coltivando ""promesse d'altrove"", fino al giorno in cui si parte davvero. Ed eccolo