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Al centro della prosa tagliente e umoristica di Sholem Aleichem c'è sempre la «gente semplice», con i suoi lati di luce e di ombra. I suoi racconti mescolano in modo inimitabile lo sguardo spassionato sulla vita appartata degli abitanti dello shtetl e il «panico» che si diffonde tra loro quando nel loro mondo irrompe la realtà esterna, avversa ed estranea.«Aleichem contribuisce, insieme a tanti altri scrittori, a tenere in vita la memoria storica, religiosa e culturale di un mondo ormai irrimediabilmente scomparso, travolto dalla furia nazista e inghiottito dalla tragedia bellica del secolo scorso. È un mondo in cui tradizione e modernità, progresso e arretratezza spesso convivevano. Di quel mondo, che fu il suo habitat e l’oggetto della sua passione civile e del suo impegno culturale, Aleichem ci fa comprendere i contrasti (nazionali, confessionali, etnici e culturali) e le contraddizioni che lo hanno solcato» – dalla Prefazione di Giulio SchiavoniPer lungo tempo le misere condizioni di vita negli shtetl dell'Europa orientale furono considerate con disprezzo dagli ebrei benestanti ed emancipati dell'Occidente. Ben presto però, soprattutto grazie ai racconti di Sholem Aleichem, Isacco Leyb Peretz e Mendele Moicher Sforim (i tre grandi autori classici della letteratura yiddish), si sviluppò un modo diverso di guardare agli Ostjuden, gli ebrei orientali che vivevano come in un mondo a sé, impermeabile agli sviluppi della modernità, e che sarebbero poi stati spazzati via con la