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Questo mosaico autobiografico potrebbe benjaminianamente intitolarsi "Infanzia torinese"": l'infanzia di una bambina nata intorno al 1950 in una Torino colta e vecchiotta, che trascina i suoi caratteri risorgimentali, liberty e gobettiani fin dentro il boom. Si fatica a immaginare un'incarnazione più tipica del leggendario milieu che mentre la Bertini cresceva precipitò nelle pagine di ""Lessico famigliare"". Ma se anagraficamente Mariolina potrebbe essere figlia di Natalia, somiglia più alla scrittrice che ai suoi eredi e ai suoi genitori. Lei pure si descrive come una ragazza che ""non sa fare niente"" se non giocare con le parole. E qui il ruolo del professor Levi è svolto soprattutto dalla madre, che con virile sbrigatività pretende impossibili performance scientifiche o musicali, concependo l'educazione come una tonificante ginnastica psicofisica. Chi leggerà queste memorie incontrerà una ritrattista: la nonna, le compagne di giochi e i compagni di studi, i parenti frequentati in città, sulle Alpi o a Varigotti, le maestre e i baroni universitari... Dietro la narratrice si sente poi il tocco della saggista, dell'interprete di Proust e Balzac. E i modi in cui Mariolina, dalla scoperta del proprio io a una scoperta della ""Recherche"" che coincide con la maternità, ha fatto della letteratura il suo rifugio rimandano in effetti ad alcuni motivi proustiani e balzachiani. Non a caso le grandi gioie e le prime letture della sua infanzia sono legate a un Ottocento ridotto a bal