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Non è vero che domani, dopo che il virus sarà sconfitto, saremo tutti migliori e che, con noi, sarà migliore il mondo in cui viviamo. La formula non è né innocente né neutrale. Essa spinge nella nebbia la concreta organizzazione della società, la natura sociale della sua struttura, la questione del potere e oscura le contraddizioni e il duro disagio sociale di cui è fatta la realtà e la quotidianità della vita. Essa ci ripropone, sotto il belletto, l'uomo astorico e asociale, solo con la sua coscienza senza l'altro, se non a sua immagine e somiglianza, senza le relazioni sociali reali. La verità è assai diversa. La crisi del virus radicalizza la crisi di società nella quale si è manifestata e ci mostra il bivio in cui ci troviamo. Il virus funziona come una gigantesca lente d'ingrandimento sui problemi del mondo, dell'Europa e del Paese. «Le Monde» ha scritto che «esso rivela un'accelerazione brutale delle tendenze che erano già all'opera prima della crisi, piuttosto che delle vere rotture con esse». Parlando della situazione mondiale, il quotidiano francese mette in evidenza che la mondializzazione era in crisi già da prima sotto i colpi delle montanti diseguaglianze e dell'impoverimento all'interno dei Paesi più sviluppati. In questo quadro di cui è partecipe, l'Europa era ed è di fronte alla sfida della solidarietà. Fino a ieri l'Europa reale l'ha combattuta sul fronte opposto, oggi è a un bivio. L'emergenza drammatizza la scelta sulla strada da imboccare. Non è vero neppu