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Davide D’Urso indaga nel microcosmo dei legami familiari per realizzare un affresco lucido e partecipe del Paese, raccontandoci chi eravamo e cosa siamo diventati.rnrnMio padre ha passato la vita a realizzare i suoi sogni, io passo il tempo a difendere quel poco che ho costruito dall'incertezza di questi annirn«I Famelici riesce a partorire, in prima persona, una storia di formazione, una confessione costruita attorno alla figura cruciale di un padre settantenne» - Orazio Labbate, RobinsonrnrnIl protagonista di questa storia è un settantenne di straordinaria vitalità, un uomo di successo. Sacrifici ne ha fatti tanti ma la congiuntura più favorevole nella quale poteva sperare di imbattersi – gli euforici e dissoluti anni ottanta – e una famelica volontà di affermarsi gli hanno permesso di sfuggire al destino da subalterno a cui sembrava condannato. L’altro protagonista di queste pagine – la voce narrante – è un giovane uomo cauto e pensoso. Era convinto che la laurea gli avrebbe garantito un futuro luminoso, invece il suo sogno – e quello di un’intera generazione – si è rivelato ben presto un’illusione e oggi, diviso tra lavori e amori precari, è costretto a ridimensionare le aspettative. Ma senza piangersi addosso. A dispetto dei cliché che lo vorrebbero fragile e spaesato, resiste. Forse grazie a una dose d’ironia partenopea capace di stemperarne il disincanto. Non è tutto. C’è un legame inscindibile tra i due uomini: sono padre e figlio, e questa è la storia del loro scontr