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Curzio Malaparte non si è mai sentito un intellettuale italiano . La sua cultura, anche considerando il numero notevole di lingue che parlava (dal francese all’inglese al tedesco di famiglia al russo che masticava così come il polacco), era decisamente europea. Lo stesso si può dire delle sue letture che andavano dai maggiori poeti francesi (tradusse Eluard e Pierre-Jean Jouve) alla À la recherche du temps perdu di Proust (cui ha dedicato un singolare quanto ammiccante pastiche teatrale, Du côté de chez Proust, messo in scena nel 1948 a Parigi) e alla produzione letteraria anglo-americana del tempo. Ma, ancora più importante come riscontro oggettivo della precedente affermazione, è il fatto che Malaparte scrisse per l’editore Grasset di Parigi, tra il 1931 e il 1932, due saggi direttamente in francese che poi ripubblicò nel 1948 traducendoli in italiano con l’apporto di traduttrici professioniste: Technique du Coup d’État e Le Bonhomme Lenine. Sempre in francese nel 1948 pubblicherà per Denoël una raccolta di saggi vari (Deux Chapeaux de paille d’Italie) che, invece, non ripropose in italiano. L’uso della lingua francese non aveva mai rappresentato un problema per lo scrittore pratese anche se il suo idioma francese fu contestato in diverse occasioni (come nel caso del testo dell’opera teatrale Das Kapital considerato un po’ troppo dur dal direttore del teatro in cui la pièce fu rappresentata per la prima volta e che gli propose di riadattarlo – Malaparte si rifiutò con sdegn