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Concludendo la sua straordinaria carriera, Guariniello scrive un’autobiografia “professionale” che a ogni pagina risuona di passione. Leggerla è ripercorrere tappe fondamentali nella storia d’Italia, rivivendo momenti dolorosi ma anche rincuorandosi perché, grazie al lavoro della magistratura, siamo diventati passo dopo passo un Paese molto più civile.rnrn«La giustizia non può essere un sogno. È un diritto, concreto, a portata di mano, che tutti possono e devono esigere. Ho cercato di farlo capire con il mio lavoro. Spero di aver seminato qualcosa di buono. E spero di essere ricordato come un magistrato che si è battuto per cause giuste»rnrnNonostante l’età, faccio ancora sogni assurdi. Come quando vedo le immagini intollerabili dei cinesi o degli indiani chini sui sacchi di amianto e mi domando: «Ma non esiste un modo per andare a fare il magistrato laggiù?». È impossibile, me ne rendo conto. Nella sua carriera Raffaele Guariniello, uno dei magistrati più importanti del nostro Paese, non si è occupato di mafia o terrorismo. Si è occupato di ciascuno di noi. Della nostra dignità. Era in gioco la dignità dei lavoratori nei primi anni Settanta, quando Guariniello svelò il Sistema di schedature alla Fiat: lì si calpestava il diritto a essere rispettati nella propria vita privata e a prescindere dalle idee politiche. Erano in gioco la dignità e spesso anche la vita in tutte le fabbriche – a partire dalla Sia, Società italiana per l’amianto, per arrivare, naturalmente, a Eternit