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Condannato a quattro anni di deportazione seguiti da sei di confino, nella colonia penale Dostoevskij si ritrovò a toccare con mano il male, non soltanto nella sua forma metafisica, ma nella sua espressione concretamente brutale; e soprattutto si ritrovò a toccare con mano la presenza di un abisso incolmabile tra sè, intellettuale nobile, e i detenuti comuni, il popolo. Pur privato dei suoi diritti di nobile, pur sottoposto alle stesse regole e privazioni, l'autore non fu mai riconosciuto compagno dei suoi compagni – si trovò sempre di fronte alla stessa solitudine che avrebbe accompagnato il Raskol'nikov di "Delitto e castigo"" nella prima fase della sua permanenza nella colonia penale. E, tuttavia, Dostoevskij divenne anche conscio di una nuova forma di consapevolezza. ""Di sicuro per me non è stato tempo perduto"", scriverà al termine della condanna. ""Se anche non ho conosciuto la Russia, certo il popolo russo l'ho conosciuto bene, come pochi credo lo conoscano."" Molti dei protago